E’ un dato di fatto, secondo diverse fonti di dati (tra cui il CENSIS e l’ISTAT e il più recente report di Oxfam) diversi milioni di persone in Italia sono da considerare povere, e la classe media va sempre di più assottigliandosi, tanto che le grandi aziende sembrano essersene accorte promuovendo un generale “meglio poco da tanti, che tanto da pochi” in tutta una serie di ambiti che fino a poco tempo fa erano “riservati” alle classi più abbienti.

Quindi assistiamo al 99% degli spot in tv di automobili anche di grossa cilindrata che riferiscono immancabili prezzi al mese invece che il prezzo pieno delle vetture, ad oggi credo resista solo Cupra.
Da BMW ad altre tipologie di auto d’alta fascia, è tutto un fiorire di “tua a 200/300 euro al mese”, e intorno a questo messaggio sono nate vere e proprie banche con lo stesso nome del brand automotive, prontissime a fare le veci di una qualsiasi finanziaria o istituto bancario nel proporre finanziamenti per permettere anche a chi non si può permettere di pagare il prezzo pieno, di uscire dal concessionario con un’auto nuova.

L’automobile in sè è diventata la scusa per far accedere le persone a dei finanziamenti: entrare in un concessionario e dire “ho bisogno di una macchina e te la pago in contanti” fa storcere il naso al venditore, mentre, paradossalmente, entrare e dire “ho bisogno di una macchina, fatemi un finanziamento al 100% perchè non me la posso permettere” instilla sensazioni positive e mette in moto una “cerimonia di vendita” in piena regola.
Intorno al 2008 c’abbiamo provato con le case, non è andata esattamente bene, ma questa è un’altra storia.

Questo si riflette, ancor più selvaggiamente, nell’online: prezzi civetta impossibili vengono letteralmente spammati dai concessionari o chi per loro in decine di siti di annunci auto, promozioni selvagge vengono proposte su altrettanti siti, senza però riportare le classiche cinque o sei righe scritte in bianco piccolissimo negli spot tv, in cui quel prezzo è possibile solamente se la Cremonese vince lo scudetto, fuori piove di traverso verso destra e i Black Sabbath vincono Sanremo.

Insomma una giungla che ha un’unico obiettivo, portare gente in concessionario, poi lì si capirà quale assurda formula fantafinanziaria adottare per ottenere non solo le revenue della vendita dell’auto ma anche i “kickback” mensili ad ogni rata pagata.
L’auto è l’ultima cosa, serve solo come pretesto.

Conseguenza: guidi una BMW ma la finirai di pagare tra 10 anni, fine dello status, per buona pace di tutti i messaggi di libertà e il classicissimo “riscrivi le regole” di ogni iniziativa di marketing delle case automobilistiche.
Ma come? Bastano 200 euro al mese per “riscrivere le regole”?

E se pensiamo che questo riguardi solo l’automotive ci sbagliamo di grosso, prendiamo una nota marca di elettrodomestici come Dyson, uno di quei classici brand nei cui uffici marketing si veniva crocefissi fino a un paio di anni fa se si fosse parlato di sconti o promozioni varie.
Ricordo la classica domanda: “come tracciamo le vendite di un’influencer?”
Io: “Bhè il modo più sicuro è quello di dare un codice sconto, e ad ogni utilizzo la vendita è facilmente attribuibile all’influencer di turno.”
Guai! Sconti? Ma no, noi siamo di fascia alta!

Ora ogni spot in tv di questo brand finisce con “Paga a rate su Dyson.it”.

Abbigliamento? Rate, con il fiorire di servizi online integrabili con gli e-commerce dei brand che permettono a chiunque di acquistare un capo firmato.
Anche qui, vestito Ralph Lauren o altro dalla testa ai piedi, ma 1 anno e mezzo di rate ancora da pagare.

Persino nel mondo finanziario siamo stati capaci di convincere orde di persone con bassissima educazione finanziaria e buon senso, che sarebbero potuti diventare ricchi comprando derivati di titoli e quant’altro, o almeno li abbiamo convinti di potersi sentire ricchi e moderni Gordon Gekko facendo trading online.
Il tutto è stato facilitato introducendo anche dei bonus di benvenuto, quali azioni (no, sono derivati, CFD in realtà) o soldi che statisticamente vengono immediatamente persi entro poche ore a causa di scelte sconsiderate e poco informate più le commissioni.
Un tempo gli investimenti erano visti come qualcosa di riservato ad un certo tipo di persona, facoltosa, che investendo presumibilmente cifre che poteva permettersi di perdere, cercava un ritorno.

Oggi, chiunque con pochi click può entrare in piattaforme quali eToro e Plus500 ed acquistare quelle che ad un occhio poco attento possono sembrare azioni o commodities.
L’equivoco sconosciuto ai più, specialmente a quel 60 / 90 % di persone che perdono soldi nel trading, è che nessun ricco gestisce direttamente il proprio patrimonio mobiliare, a meno che non abbia esperienza in tal senso: il tutto è mediato da family office, hedge funds, gestori e wealth manager.
Ma questo, il target principale non lo sa, è stato abbindolato da anni ed anni di comunicazione incentrata su facili ritorni e vita di successo.
Un ricco da Milano a Montecarlo ci va in Ferrari, il fatto che tu sia diretto lì ma con una bicicletta, non fa di te un ricco.

Nel mondo della finanza come in altri ambiti abbiamo coniato il termine “Democratizzazione”, ovvero un accesso facilitato, aperto ai più, e questa è stata la leva di marketing più azzeccata di sempre, insieme all’altro termine utilizzato per definire il sempre più diffuso malessere economico di intere generazioni, la “Gig Economy”.

Questi due termini messi uno vicino all’altro, sono lo spettro di una società che si fa sempre più divisa in classi più abbienti e una classe media erosa da condizioni di lavoro sempre più proibitive, sogni di un benessere mediato dalle finanziarie e dal prestito, prezzi delle case sempre più alti specialmente nelle grandi città e un potere d’acquisto illusorio.

La Gig Economy in particolare ha legalizzato e globalizzato il dumping: prendi qualcosa che serve alla società e che di solito costa 5, trova chi è disposto a farlo a 2, chiamala startup, raccogli miliardi di fondi e poi definisciti orgogliosamente “Unicorno”.
Hai presente la parabola di Gorillas?

In generale la famigerata Democratizzazione, come è evidente dall’ambito finanziario, non ha dato accesso a strumenti riservati a persone benestanti e ricche, ma ha facilitato l’accesso a strumenti totalmente nuovi che hanno solamente l’obiettivo di nutrirsi di revenue più esigue ma costanti e numerose.

Una piattaforma di trading che consente ad un illustre sconosciuto una leva a 25 su dei titoli o valute, non può essere uno strumento destinato a persone abbienti, così come i pagamenti a rate su prodotti con una fascia di prezzo più alta.
Sono strumenti per poveri, che forniscono la possibilità di emulare persone più abbienti, by design.
Un gran bel futuro, non c’è che dire.

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